Com’è nato e quando il progetto Trayma?
È nato dopo un altro cambio di vita. Ho avuto un incidente in cui ho quasi perso la vita e ho sofferto di un lungo e profondo disordine da stress post-traumatico. È stata una condanna e una benedizione: scoprire il senso della vita nel momento in cui ho rischiato di perderla mi faceva percepire tutto in modo diverso. In quel periodo ho realizzato quanto poco si parli di salute mentale, e quanto poco siamo pronti ad ascoltare. Ho deciso di avviare un progetto con cui comunicare quello che avevo vissuto, le mie riflessioni. Volevo creare un salotto per ospitare artisti, medici, psichiatri e creativi di ogni genere, ma ho concluso che il modo migliore per farlo fosse attraverso l’arte, continuando quindi il mio percorso creativo in maniera organica. L’arte è un veicolo senza pregiudizi.
La cicatrice è diventata in mio simbolo espressivo, precisamente le cicatrici nella pietra e nelle rovine abbandonate, perchè in questi luoghi permangono echi di vite vissute, traumi ed esperienze, che attraverso la natura raccontano la resilienza. Ho utilizzato l’alfabeto che conosco: il tessile. Parto dal filo e realizzo sculture tridimensionali che raccontano storie di vita, ponti tra l’annientamento e il superamento. La struttura delle opere di Trayma ha una componente ingegneristica molto importante, si potrebbe considerare un’invenzione, che mi permette di moderare il filato nello spazio attraverso il calore.
Quindi c’è una componente di casualità nelle tue opere?
Sì, assolutamente. Sono artefice ma anche mezzo creativo, a metà tra il mondo tridimensionale e il mondo dell’essere. Tengo particolarmente a mantenere questa componente di casualità.
A proposito di genius loci. Sei nata in Puglia e vivi a Mallorca: che ruolo ha avuto il paesaggio sulla tua arte?
È stato fondamentale, anche perché la Puglia ha gli stessi colori, gli stessi profumi e la stessa energia di Mallorca. Le assonanze sono viscerali, a Mallorca ho fatto pace con il passato.
Quali evoluzioni ha avuto il progetto Trayma fino ad ora?
Io credo che l’arte non possa rimanere solo nell’emisfero concettuale, ma debba essere abbinata al craft, la capacità. E Trayma è un lavoro che ho iniziato e voglio proseguire all’interno di questo emisfero. Da quando sono partita con questo progetto è successo tutto molto velocemente. Sentivo un’urgenza, e nello stesso momento, ma me ne sono resa conto dopo, tutti iniziavano a parlare di questo tema della salute mentale in modi diversi. La SerieVolume, ad esempio, esplora il vissuto del panico e la conseguente difficoltà di comunicare una condizione che altera la percezione stessa del mondo, quasi perdendo il senso del volume e dello spazio circostante. Con la SerieScoperta, si entra in una fase di rinascita, in cui la ritrovata lucidità porta alla riscoperta della vita e del piacere delle piccole cose, una riappropriazione della propria essenza. Successivamente, una nuova consapevolezza emerge, quella dell’overcoming, il superamento del trauma. Qui il focus si sposta dal personale all’universale: come si arriva a tale consapevolezza in assenza di un’esperienza condivisa? Questo interrogativo ha condotto Trayma verso una riflessione sull’essere senza mondo, ponendo le basi per un nuovo capitolo del progetto, che coinvolge il pubblico in una dimensione performativa, esplorando l’interazione tra individuo e collettività.